ED OGGI IL RACCONTO DI UNA AMICA SCRITTRICE.
LEGGETELO..
LEGGETELO..
Il
gatto nero
Viaggio
in autobus, lungo la sgangherata tratta Occhiobello- Ferrara fatta di
corriere blu indaco spesso in ritardo o in anticipo e sempre troppo
piene.
Lavoro
part-time, prima ero una professionista ora sono una impiegata, da
avvocato a segretaria sola andata ...si potrebbe dire.
L'autobus
è una specie di piccolo mondo su ruote: bambini e ragazzi che vanno
a scuola o che bruciano la scuola, nonne dirette ai mercati locali,
badanti, donne di servizio, lavoratori italiani e non solo.
Mi
siedo all'esterno e dalla parte del finestrino metto la borsa, poi
infilo l'ipod e leggo.
Leggo
quando è possibile perchè talvolta in autobus c'è talmente tanta
confusione che neppure la musica a palla riesce ad isolarmi.
La
prima volta che ho intravisto Ojeiwa, ad esempio, proprio non era
possibile leggere; neppure pensare era possibile: l'autobus sembrava
più un centro sociale africano maleodorante e pericoloso che un
mezzo di trasporto.
Lui
e un gruppo di ragazzotti di colore occupavano l'intera corriera,
corridoio compreso.
Tra
l'odore di sudore e le grida dei fastidiosi extracomunitari e degli
altri passeggeri che si lamentavano non ne potevo più!
Mario,
storico autista sessantenne di quella tratta non ha avuto scelta, ha
accostato a bordo strada l'autobus 263 e si è alzato in piedi
dicendo ai ragazzi neri: "Quelli di voi che hanno il biglietto
vengano da me a timbrarlo e poi si siedano nei posti liberi...non
posso guidare così. Quelli invece che sono saliti cercando di fare i
furbi scendano qui!"
Ovviamente
nessuno gli dava retta, tutti gli extracomunitari continuavano nella
loro caciara.
Mario
così ha pensato bene di dare due colpi alle trombe dell'autobus
coprendo con il clacson il caos e ottenendo l'attenzione di tutti.
Alcuni
di loro sembravano non capire una parola e si avvicinavano a Mario
gesticolando e blaterando cose che Mario e tutti noi non capivamo. Un
vociare in cui si confondevano africano, inglese e francese; un
dialogo tra sordomuti di nazionalità diverse.
Il metro e ottanta di Mario scompariva
davanti al ragazzo che gli si era parato davanti con l'intendo
ovviamente di mediare, di farsi capire a nome di tutto il gruppo: "Je
suis Ojeiwa, nous sommes des réfugiés et dans le
centre d'accueil ils nous ont donné ce billet collectif".
Mario non capiva e
più Mario dimostrava di non capire più Ojeiwa si agitava e ripeteva
"Je suis Ojeiwa, nous sommes des réfugiés et dans le centre
d'accueil ils nous ont donné ce billet collectif"
Nessuno
sapeva il francese?
Impossibile
che nessuno degli altri passeggeri lo capisse; passi per Mario che
continuava a ribadire di aver fatto appena la terza media e di non
essere portato per le lingue ma gli altri?
Forse
tutti gli altri erano come me....lo avevo inteso benissimo ma non
avevo mosso un dito... ed è stato così, per la vergogna di
confondermi con un pulman di farisei che ho alzato la mano ed ho
tradotto nel casino generale.
Ojeiwa
si è girato verso di me e mi ha guardata come si può guardare la
speranza, poi si è avvicinato con l'intento di sedersi.
Un
po' scocciata mi sono appoggiata al finestrino con la borsa sulle
ginocchia.
Non
sembrava sporco ma puzzava tanto e così, per non vomitare, mi
trovavo costretta a fare piccoli respiri.
Lui
mi parlava in un veloce francese, non capivo tutto ma annuivo in
segno di accondiscendenza sperando che smettesse presto!
Mi
ringraziava: "Merci.. merci"....e chiacchierava tanto,
troppo e troppo ad alta voce.
Gli
altri passeggeri ci guardavano e mi compativano! Di tante parole ho
inteso solo che aveva 25 anni e fuggiva da misère
e solitude.
Probabilmente quanto sapeva
dell'Italia lo aveva spinto a venirci ed a sperare in cose che poi
non aveva trovato; da come blaterava non sembrava più così convinto
che il nostro paese fosse il posto giusto: "Je
me suis trompé...je me suis trompé ( ho sbagliato...ho sbagliato)
ripeteva".
A
mezza bocca, per pentirmene un istante dopo, gli domandai:
"Pourquoi?"
Ojeiwa
però non fece a tempo a rispondere...L'autobus era arrivato
ed io, grazie a Dio, dovevo scappare..
Ma
l'autobus è un piccolo mondo a due ruote in quel piccolo mondo si
incrociano sempre le stesse persone.
Ojeiwa
diventò una delle stesse persone, saliva e si metteva accanto a me
perchè mi conosceva ed ero la sola a salutarlo. Spostarmi dalla
parte del finestrino non era più così scocciante e lo fu ancor meno
quando una bella mattina smise di puzzare.
Scoprii
tempo dopo che, dietro suggerimento di Mario l'autista aveva preso a
lavarsi non solo una volta la settimana nel fatiscente bagno dell'hug
dove viveva, ma anche ogni mattina al bar dietro la stazione.
Chiacchieravamo,
io rispolveravo il mio francese e lui assorbiva qualche parola di
italiano che provava a pronunciare in modo grasso ed impreciso.
Mi
raccontò di come un attentato si fosse portato via i suoi genitori.
Aveva
abbandonato studi ed Africa per arrivare qui: ora la sua casa era
una ex caserma di oltre 500 persone circondate da filo spinato,
camere piene zeppe di letti a castello, ragazzi di colore ammassati
a dormire o seduti per terra il giorno come la notte, un bagno ogni
50 e tanti, tanti, tantissimi insetti. Non c'era critica nelle sue
parole... solo disillusione..
Poi,
mettendo in mostra troppi denti bianchissimi, chiese di me "Et
vous, où allez-vous tous les matins? Vous travaillez?"
Gli
raccontai che avevo mollato una carriera per stare più vicino alle
bambine e di come a, volte, mi pesasse un po', ma non così tanto da
tornare indietro.... di quanto mi avessero criticata quando avevo
fatto quella scelta. Insomma parlai di me a quell'omone ex
puzzolente che solo qualche settimana prima mi infastidiva e, perchè
negarlo, mi spaventava anche un po'.
Mi disse di essere molto colpito dalle
donne occidentali perchè sapevano fare tutto...qualche anno prima
all'Università proprio lui aveva amato una mezza occidentale (mezza
nigeriana e mezza francese), era strana e bella, con gli occhi
profondi ed una mente chiara ed aperta...poi però si erano persi.
"Elle aussi, comme vous aviez choisi d'étudier .... savoir
comment choisir nous rend forts , et je pense que votre choix montre
que vous êtes une grande personne (Anche lei, come te aveva scelto
di studiare....il saper scegliere rende forti e io penso che la tua
scelta dimostri che sei una grande persona)"
E
settimana dopo settimana facemmo amicizia. Parlavamo e ridevamo sotto
gli occhi degli altri passeggeri attoniti e scandalizzati.
"Ma
parla con 'sto profugo...dove andremo a finire..."
Io
portavo la mia vita, lui la sua, rigorosamente separate e diverse.
Il
suo sogno di avere dei figli, il mio di pubblicare un libro, le
litigate con mia suocera e le sue con gli altri ragazzi con cui
viveva.
"Ils
achètentde la bière avec le peu d'argent qu'ils ont et ils se
lavent les fontaines sur les places ... les gens commencent à
detestarci (comprano birra con il poco denaro che hanno e si lavano
nelle fontane delle piazze...la gente comincia a detestarci!!)"
Era chiaro quanto disapprovasse i suoi compagni!
Le
persone quando lo incontravano per strada cambiavano direzione anche
se non aveva fatto nulla di male...lo schivavano e lo schifavano...
"Comme si j'étais un chat noir (come se fossi un gatto nero)".
"Peut-être
parce que je suis noir, je crois que la malchance" (forse
credono che porto sfortuna pure io avendo la pelle nera).
Risposi
che portavo più sfiga io di lui e di non darsi pena perchè
l'ignoranza purtroppo non ha confini. Prima o poi lo avrebbero
conosciuto ed apprezzato come avevo fatto io.
Lui che aveva
studiato letteratura all'Università di Ibadan in Nigeria mi sorrise
e, scuotendo la testa con gratitudine, come a significare che non
sarebbe mai accaduto, mi disse: "Lors de l'écriture des femmes,
comme vous, il faut tremper la plume dans l'arc en ciel" (Quando
si scrive di donne, come te bisogna intingere la penna
nell’arcobaleno).
Stava
citando Diderot! Il profugo negro, l'arretrato del terzo mondo, che
tutti guardavano con schifo e paura, il gatto nero citava Diderot e
non lo faceva a caso, lo faceva perchè dall'Africa non aveva portato
sfortuna ma sensibilità e acume.
Mi
aveva capita più lui in qualche tratta Rovigo-Padova che tanti
connazionali in tutta una vita ed all'improvviso mi vergognai per
tutta la gente che gli voltava le spalle in strada, per chi lo aveva
fatto venire in Italia riempiendogli la testa di sogni bugiardi, per
le teste vuote che riempiono i paesi ed anche per me che all' inizio
ero stata come tutti gli altri.
Poi
il mio amico Ojeiwa ha smesso smise di prendere la corriera; non l'ho
più visto ma lo cerco ogni volta che sale un ragazzo di colore.
Lo
cerco perchè lui era
diventato un amico, lui che mi aveva detto la verità sui profughi,
lui che era il filo d'erba e non il fascio, lui che aveva imparato da
me ad essere un po' italiano e che mi aveva fatto capire quanto io
fossi straniera, lui...il gatto nero che aveva attraversato la mia
strada.
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