Vi posto un interessante articolo di Marco fontana
Foto: EPA
|
In Italia la giustizia torna a far parlare di sé, infuocando un dibattito politico che non ha certo bisogno di ulteriore benzina sul fuoco. Il leader del centrodestra Silvio Berlusconi è stato raggiunto nel giro di poche ore da un nuovo avviso di garanzia (per una presunta compravendita di senatori risalente al 2008, che un altro magistrato aveva già archiviato per insussistenza del fatto) e dalla visita di un medico fiscale all’Ospedale San Raffaele di Milano, dove era ricoverato, per accertare che esistessero davvero gli estremi del legittimo impedimento per il processo Ruby.
Questa
scelta, imposta in modo irrituale dal pm Ilda Bocassini per tre volte
in due giorni, ha scatenato sia una protesta silenziosa di tutto il
gruppo parlamentare del PdL di fronte al Tribunale di Milano.
Da
qualsiasi parte la si guardi, la vicenda è grottesca. Da un lato c’è un
leader politico inseguito dalla giustizia da vent’anni, con un
drammatico dispendio di risorse economiche e umane: una situazione che
sarebbe paradossale in qualunque altro Paese, e se il 30% degli italiani
gli ha nuovamente concesso il voto, l’opinione pubblica internazionale
dovrebbe porsi qualche domanda. Dall’altro c’è una linea sottile,
altrettanto paradossale, che travasa magistrati dai Tribunali al
Parlamento, e viceversa. Da un altro lato ancora c’è un gravissimo
conflitto tra i Poteri dello Stato, senza che vi sia reciproco rispetto o
riconoscimento. E infine c’è il dibattito sulla riforma della
giustizia, che langue perché si concentra immancabilmente sulle garanzie
per i processi che interessano Berlusconi, invece di occuparsi di
quelle storture, anche ideologiche, che quotidianamente l’ammorbano e
che penalizzano i comuni cittadini.
Tralasciando
il primo punto, su cui la riflessione sarebbe sterile perché si
tramuterebbe nel referendum pro o contro un singolo uomo, gli altri tre
meritano un approfondimento. Che il Parlamento italiano sia diventato un
vaso comunicante della magistratura è un dato di fatto. L’esempio più
recente è quello di Antonio Ingroia, magistrato cresciuto nel pool di
Falcone e Borsellino, che ha come voce principale del curriculum l’aver
indagato Berlusconi sui suoi rapporti con la mafia - accusa poi
archiviata - e che in queste ultime elezioni si è presentato con la
propria lista “Rivoluzione Civile”. Non avendo raggiunto il quorum per
sedere in Parlamento, Ingroia si è candidamente dichiarato disposto a
tornare in magistratura. Ora, quale imparzialità può garantire in futuro
questo magistrato? Potrà ancora godere di credibilità qualora indagasse
un qualsiasi esponente politico?
Il
conflitto tra Poteri è solo l’altra faccia della medaglia. Di fronte ad
una magistratura che si auto-giudica (nella storia del Csm, in gran
parte nominato da politici, non si registrano condanne dei propri membri
neppure di fronte all’evidenza), c’è un Potere politico senza alcun
tipo di bilanciamento. Tra il 1993 e il 1994, sulla spinta umorale di
Tangentopoli, l’opinione pubblica ha abolito l’immunità parlamentare
portando allo squilibrio totale tra Poteri dello Stato. È una situazione
dannosa per entrambe le parti, poiché crea un legittimo sospetto su
qualsiasi decisione della giustizia quando essa sfiora la casta
politica. In questi anni abbiamo assistito al pubblico ludibrio di
politici autorevoli minacciati dal tintinnar di manette e poi
prosciolti. Uno su tutti: Ottaviano del Turco, già ministro delle
Finanze e presidente della Regione Abruzzo, azzoppato da un’indagine
sulla gestione della sanità pubblica; è risultato poi completamente
pulito, ma gli schizzi di fango sono rimasti la sua immagine pubblica.
Sulla
questione più importante, la riforma della giustizia, la classe
politica italiana è ancora ostaggio di ideologie e ostruzionismi
interni, condannando di fatto i normali cittadini a non vedere mai
quelle modifiche assolutamente necessarie. Proprio in questi giorni sono
avvenuti due casi che stanno facendo molto discutere. A Torino, il
medesimo Tribunale ha permesso a Salvatore, colpito dalla sindrome
Niemann-Pick, di essere curato con il metodo Stamina, messo a punto dal
dottor Vannoni, e ha vietato alla sorella di sottoporsi alla medesima
cura. C’è poi il caso di una donna pugnalata più volte dall’ex
convivente, appena uscito dal carcere per buona condotta. Quella donna
non avrebbe meritato di essere protetta dalla giustizia? Tali
contraddittorie decisioni dovrebbe scuotere nel profondo il mondo
politico, essere motivo di imbarazzo per chi ci governa. Perché oggi,
nel 2013, di giustizia si può anche morire in Italia, ed è su questo che
bisognerebbe discutere.
Commenti
Posta un commento