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Reddito di cittadinanza: questo sconosciuto!


Nelle ultime settimane si è parlato molto del reddito di cittadinanza. Si tratta di un punto presente nei programmi di diverse forze politiche che si sono presentate alle ultime elezioni ed è uno dei 20 punti programmatici fondamentali del Movimento 5 Stelle. Ma cosa è effettivamente questo reddito di cittadinanza?
Sul sito la Voce.info ito Boeri e Roberto Perotti, hanno cercato di fare un po’ di chiarezza tra i due termini che vengono usati come sinonimi, ma che decisamente sinonimi non sono.
Il reddito di cittadinanza (basic income guarantee in inglese) è un sussidio universale e non condizionato: in altre parole lo ricevono tutti quanti, per un tempo indefinito e indipendentemente dalla loro ricchezza o da altri redditi che percepiscono. Se si dovesse stabilire un reddito di cittadinanza di 500 euro mensili, ad esempio, verrebbe percepito tanto dalla famiglia Agnelli quanto da un 50enne appena licenziato.
Il reddito minimo garantito (guaranteed minimum income in inglese) è invece un programma universale – cioè ha regole valide per tutti – e condizionato: nel senso che le sue regole determinano chi può avere accesso al sussidio e chi no.
Ad esempio, il reddito minimo garantito potrebbe essere condizionato al non percepire altri redditi e all’essere iscritti a una lista di collocamento.
Il reddito di cittadinanza non esiste in quasi nessun paese del mondo: uno dei casi più noti di paesi che ce l’hanno è lo stato americano dell’Alaska. Il reddito minimo garantito invece è molto diffuso in Europa, anche se spesso molto discusso e criticato.
I politici hanno dimostrato una grande confusione su questi due termini. Ad esempio: nel programma di SEL si parla esplicitamente di un reddito minimo garantito di 600 euro, ma in diverse interviste Nichi Vendola ha parlato della necessità di introdurre un reddito di cittadinanza.
Nei 20 punti di Grillo si nomina espressamente il reddito di cittadinanza, ma quando Grillo sostiene che l’Italia è l’unico paese a non averlo in Europa, sta parlando del reddito minimo garantito, il che è confermato dalla interviste ad alcuni parlamentari del M5S che parlano esplicitamente di un sussidio condizionato.
Il primo problema attiene quindi alla necessità di utilizzare termini corretti.
Ma vi sono anche altre difficoltà: quali?
Il reddito di cittadinanza ha un solo problema: è molto, molto costoso. Boeri e Perotti hanno calcolato che un reddito di cittadinanza pari a 500 euro per tutti i cittadini italiani di età superiore ai 18 anni costerebbe circa 300 miliardi, il 20% del PIL, poco meno della metà di quanto attualmente spende lo Stato ogni anno per tutte le sue attività.
Il reddito minimo garantito, invece, è molto più economico, ma è difficile fare una stima esatta. Essendo una misura “condizionata”, bisognerebbe capire quali sono le regole che lo farebbero scattare prima di poter ipotizzare il suo costo. Boeri e Perotti stimano un ordine di grandezza tra gli 8 e i 10 miliardi di euro per un reddito minimo garantito di 500 euro. Il problema, in questo caso – oltre al costo, che comunque non è indifferente – è che il reddito minimo di cittadinanza in certe condizioni rappresenta un disincentivo al lavoro.
Se ipotizziamo, come si è spesso sentito dire, un reddito minimo garantito di mille euro al mese, è chiaro che nessuno lavorerà più per meno di mille euro: dovrebbe rinunciare al sussidio per lavorare ottenendo la stessa cifra. Probabilmente in pochi però lavorerebbero anche per 1.200 euro: il guadagno netto sarebbero solo 200 euro, ma in cambio bisognerebbe lavorare invece che stare a prendere il sole in spiaggia. Per questo in genere il reddito minimo garantito è condizionato da clausole come una durata limitata oppure essere iscritti alle liste di collocamento e non rinunciare a più di un certo numero di offerte di lavoro.
Movimento 5 stelle e reddito minimo garantito Il Movimento 5 Stelle è anche l’unica forza politica ad aver finora esplicitato i dettagli della sua idea di reddito minimo garantito. O almeno lo ha fatto un suo esponente, il deputato Alfonso Bonafede. In un’intervista al Fatto Quotidiano Bonafede ha detto: «Vorremmo fosse intorno ai 900-1000 euro che consente di non rinunciare ai propri diritti, di non diventare schiavo. Durerà tre anni e si riceveranno un massimo di tre offerte in base alle proprie competenze attraverso gli uffici di collocamento, che devono essere potenziati, al terzo rifiuto il reddito viene tolto».
Il PD, invece non ha una posizione chiara nsulla questione reddito minimo garantito. Negli 8 punti presentati dal segretario Bersani alla direzione nazionale del partito è presente un vago accenno a qualcosa che assomiglia al reddito minimo garantito; trattasi di «Salario o compenso minimo per chi non abbia una copertura contrattuale».
Reddito minimo garantito in Europa e in Italia:differenze!
Italia, Grecia e Ungheria sono gli unici tre stati dell’Europa a 27 a non avere una qualche forma di reddito minimo garantito. La media del sussidio nei paesi europei prima dell’allargamento (cioè tenendo conto di Regno Unito, Germania, Francia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi, Lussemburgo e Svezia) è di 400 euro. Questo non significa che in Italia la spesa per la protezione sociale – che comprende tutto: dalle pensioni a sussidi di disoccupazione – sia inferiore a quei paesi. La spesa per la protezione sociale in Italia è in linea con la media europea.
Non si può parlare di reddito minimo garantito senza parlare del Bin.
Cosa è il Bin?
Il Bin (Basic Income Network Italia) è costituito da sociologi, economisti, filosofi, giuristi, ricercatori, liberi pensatori che da anni si occupano di studiare, progettare e promuovere interventi indirizzati a sostenere l’introduzione di un reddito garantito in Italia. A tal fine è stato ideato un sito come strumento per l’aggregazione delle idee. Ne è risultato un network di competenze diverse che muovono però nella medesima direzione, sotto un «logo comune», quello del “BIN Italia”, perché comune è l’obiettivo: giungere all’introduzione di un Basic Income per tutti.
Il confronto nazionale ed internazionale sul reddito di cittadinanza (Basic income) ha conosciuto un vibrante sviluppo ed al tempo stesso uno straordinario arricchimento. Il Basic income è diventato, in questo modo, il fulcro attorno al quale diveniva possibile ridisegnare il nuovo statuto delle garanzie non solo del lavoro, ma della cittadinanza. Il reddito di esistenza ( concetto per me di grande interesse!!), come è stato spesso definito il Basic Income, pone la questione centrale su cosa siano oggi, a fronte delle trasformazioni sociali e globali, i diritti sociali; cosa significa garanzia di un livello socialmente decoroso di esistenza e della possibilità di scelta e di autodeterminazione dei soggetti sociali. Il dibattito italiano ha goduto di una forte varietà di riferimenti e di ottiche di lettura che bene fa comprendere la sua originalità e ricchezza. È stata centrale, in questo dibattito, proprio l’analisi delle trasformazioni produttive degli ultimi decenni, in particolare l’emergere della condizione precaria come condizione generale del lavoro, la cui indagine rappresenta il contributo forse più interessante che il dibattito italiano può offrire al contesto internazionale.
Per il Bin il reddito minimo garantito è un reddito di base incondizionato (RBI), dato a livello individuale, ai residenti (e non solo ai cittadini), incondizionato (ovvero non sottoposto a nessun obbligo), pagato dalla fiscalità generale e non dai contributi sociali. Non è una misura assistenziale, in quanto è reddito primario, cioè è reddito che remunera un’attività produttiva di valore, che è l’attività di vita, che solo in parte oggi, sulla base delle leggi vigenti, è certificata come lavoro e quindi remunerata. Il RBI remunera quella parte di vita produttiva che non viene considerata tale (apprendimento, formazione, mobilità/trasporto, riproduzione, consumo). È una misura di welfare (sicurezza sociale) che parzialmente esiste in tutti i paesi dell’Unione europea eccetto Italia e Grecia: un sostegno economico alle persone con un lavoro intermittente o disoccupate.
Varia da poche centinaia di euro ai 1.200 al mese della Danimarca e Lussemburgo. In Italia dovrebbe essere come minimo di 720 euro al mese (20% in più della soglia di povertà relativa). Oggi, ammortizzatori sociali come la cassa integrazione o il sussidio di disoccupazione sono riservati a chi ha perso un lavoro a tempo indeterminato e determinato; il RBI invece dovrebbe essere dato a tutte le persone che hanno un reddito inferiore ai 720 euro/mese, per esempio ai precari tra un contratto e l’altro, ai disoccupati e ai lavoratori/trici che pur impiegati/e guadagno salari da fame, inferiori ai 720 euro/mese, in modo incondizionato, ovvero slegato sia dal tipo di contratto precedente che dall’obbligo di accettare qualsiasi impiego proposto o i programmi di inserimento lavorativo.
Il ministro dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture e dei Trasporti Corrado Passera ha dichiarato: “Se non si guarda solo ai disoccupati ma anche a chi non cerca più il lavoro o chi ha un lavoro, ma un reddito insufficiente, parliamo di 6-7 milioni di persone, e con i familiari forse si arriva alla metà del nostro Paese”. Chi potrebbe beneficiare del reddito minimo garantito e come trovare le risorse per finanziarlo?
In realtà, secondo le indagini statistiche condotte dalla Caritas e dalla Commissione Parlamentare contro la povertà e l’esclusione sociale, coloro che si trovano nel 2011 ad avere un reddito individuale al di sotto della soglia di povertà relativa ammontano a circa 8 milioni e mezzo di persone.
Secondo i calcoli del Bin, una misura di RBI di 720 euro/mese, necessita poco meno di 35 miliardi. Al netto dei sussidi oggi esistenti di uguale entità (pensioni sociali e di invalidità, sussidi di disoccupazione, indennità e casse integrazioni), le risorse da aggiungere sono pari a 15,7 miliardi. Una cifra abbordabile che dovrebbe essere a carico della collettività (e non finanziata dai contributi sociali dell’Inps, come avviene oggi). I dati sono contenuti nei Quaderni di San Precario e sul sito Bin.
Il sistema fiscale si basa sulla tassazione dei fattori produttivi. Oggi si tassano solo il lavoro dipendente (tanto), la proprietà delle macchine (poco) e il consumo (molto). Ma ci sono ben altri fattori produttivi: la finanziarizzazione, la conoscenza, lo spazio. Si potrebbero tassare le transazioni finanziarie, anche solo per lo 0,01%; i diritti di proprietà intellettuale; i grandi patrimoni immobiliari che lucrano sugli spazi delle città. Ma anche l’uso delle forme contrattuali atipiche: ad esempio, introducendo l’Iva sull’intermediazione di lavoro effettuato dalle agenzie interinali. E poi ci sono le spese da sopprimere come gli aerei da guerra F35 che la Difesa sta acquistando per 15 miliardi di euro.
Si parla molto di patrimoniale. Una sua introduzione porterebbe da sola nelle casse dello Stato più di 10 miliardi. In altre parole, la questione non è di fattibilità ma di volontà politica. E non abbiamo nemmeno citato l'evasione fiscale... Comunque, per un approfondimento del tema fiscale e per un’analisi delle possibili proposte in materia, rimando al n. 3 dei Quaderni di San Precario che esce proprio in questi giorni e al sito del Bin - Italia.



Spero che questo breve approfondimento vi sia stato utile o almeno chiarificatore....pensate solo che in Sicilia(regione ormai a statuto grillino) c'è già fila ai caf per richiedere questo benedetto reddito/sussidio/contributo/etc...in qualunque modo lo si voglia chiamare.

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